4 novembre 2008: il giorno in cui gli Usa sconfissero l'antiamericanismo/Coloro che guardano agli Stati Uniti con astio hanno assistito alla disfatta dei loro pregiudizi

Ha vinto la grande nazione dei sogni possibili

Il 4 novembre 2008 sarà ricordato come la data in cui gli U.S.A. hanno inferto un duro colpo all'antiamericanismo diffuso nel mondo, dando ennesima dimostrazione di essere un grande Paese. Coloro che guardano agli Stati Uniti con astio hanno assistito alla disfatta dei propri stessi pregiudizi: potranno più dire che l'America è razzista (dopo aver ignorato il ruolo della Rice e di Powell proprio nell'amministrazione tanto odiata di Bush)? Potranno sostenere che l'America è decadente, che non riesce a rinnovarsi e ad alimentare speranze, che non è esempio di civiltà istituzionale e vita democratica? No, non potranno. Ben inteso, per noi che amiamo l'America, di tale prova non c'era bisogno, ed abbiamo seguito le elezioni presidenziali con un misto di curiosità, interrogativi, scetticismo e speranze, di certo non con l'enfasi quasi da "fine del mondo" in relazione a chi poi si fosse insediato alla Casa Bianca.

Carisma

Ha vinto Obama: solo che fondamentalmente nessuno di noi sa chi sia né come si comporterà. Sappiamo ciò che ha, fino ad ora, rappresentato in forza di un moderno carisma, un po' demagogico, in grado di entusiasmare dentro e fuori gli U.S.A., ma non sappiamo in cosa consisterà il cambiamento cui si dice portatore. La sua vittoria ha, del resto, due facce: assume un significato positivo se analizzata da un punto di vista squisitamente sociale e politico; mentre desta qualche dubbio e molti interrogativi in relazione alla futura concreta conduzione del governo della più grande potenza mondiale.

Dal punto di vista sociale e politico, concordiamo con le primissime parole pronunciate da Obama dopo la diffusione dei risultati: l'America dimostra di essere ancora la terra dove il sogno è possibile, la terra dove la speranza attecchisce e prospera, la terra dove la libertà, il rinnovamento, la "rivoluzione" sono sempre dietro l'angolo. Gli americani sono e continuano ad essere il faro del mondo; sono, oggi come ieri, giustamente, i protagonisti della Storia degli ultimi due secoli e sicuramente dei prossimi. Ma gli Stati Uniti sono anche il Paese delle contraddizioni, dove le diversità alimentano la ricchezza, dove il progresso convive con sacche di povertà, dove patriottismo, pensiero liberale ed un puritano conservatorismo religioso coesistono.

Voltare pagina

Obama è in sé una contraddizione ed incarna quest'America moderna: è Presidente pur essendo giovane e con poca esperienza, è di colore ed è ricco, è riuscito ad ottenere appoggi influenti, non era nessuno nel proprio partito ma nel giro di qualche anno ha saputo, cavalcando egregiamente la voglia di voltare pagina, dare una speranza e convincere il popolo americano che egli è l'uomo giusto per guidarlo.

Ma veniamo ai lati oscuri di questa vittoria. L'America ed il suo giovane, e a suo modo rivoluzionario, Presidente devono passare dalle parole e dagli slogan ai fatti e alle soluzioni concrete. Sono molteplici gli interrogativi che Obama si porta dietro e da subito economia e politica estera saranno banchi di prova durissimi.

Cosa farà per arginare la crisi finanziaria? Cosa in concreto per far riprendere l'economia reale americana? Le relazioni e gli scambi commerciali subiranno delle limitazioni? Aumenterà la pressione fiscale? Come si comporterà davanti alle minacce dell'Iran e che atteggiamento assumerà nei confronti degli "Stati canaglia"? Come agirà per indebolire ulteriormente la rete di Al-Qaeda? Cambieranno i rapporti con il sud del mondo e con le potenze in ascesa di Cina, India, Brasile? Come imposterà le relazioni con l'Europa e con la Russia di Putin? Abbandonerà l'unilateralismo? Sono queste solo alcune delle domande che è legittimo porsi e solo alla prova dei fatti sapremo chi è il nuovo Presidente degli Stati Uniti: non vorremmo che qualcuno si svegliasse scoprendo che la realtà è ben altra cosa.

Paese di vecchi

Concludendo ci sentiamo di dover fare qualche riflessione sul nostro Paese.

Al confronto con gli Usa l'Italia pare rassegnata ad essere un paese per vecchi dove in verità non è concesso neanche sognare. La trasposizione in salsa nostrana dei successi di altri Paesi e di altri leaders, se non attestasse la nostra grave povertà politica, potremmo definirla semplicemente una messinscena ridicola degna di saltimbanchi del peggior avanspettacolo.

Il nostro è un Paese che pare non abbia la forza di guardare con fiducia al proprio futuro, alla cui guida c'è sempre la stessa classe politica decadente e logorata sotto il peso delle macerie dei propri disillusi vaneggiamenti, capace solo di autoalimentarsi e di creare regole in grado di farla rigenerare al potere (gli esponenti di maggioranza ed opposizione sono in questo del tutto simili).

Arroccate nella propria autoreferenzialità, frutto spesso di miseria intellettuale, politica e talvolta umana, le tante caste nostrane (economiche, politiche, sindacali, sociali, ecc.) vivono nel soddisfacimento della contingenza, sacrificando sia la posa di regole veramente funzionanti sia il rispetto della democrazia e delle istituzioni sia la conduzione di iniziative in grado di far sviluppare un progetto generale di progresso e prosperità.

In Italia si protesta solo a difesa dello status quo e si interviene solo a salvataggio dell'inefficienza. Nessuno ha prospettive da offrire, ma solo polemiche sterili, strumentalizzazioni, disagi diffusi da cavalcare a proprio vantaggio.

Quando riusciremo a liberarci e a voltare pagina, chiudendo una stagione che dura ormai da lungo tempo e che non lascerà dietro di sé né fama né rimpianti?

g. p.